Ci sono cose che mi fanno pensare e quando inizio faccio collegamenti e diventa un delirio. Quindi in questo podcast delirante voglio entrare in dettagli del mio mestiere spesso non raccontati.
Non sono cose peccaminose. Ma essere consapevoli è una necessità per chiunque. Quindi oggi ti accendo la consapevolezza di un lato del mio mestiere.
Non parlo esattamente di tette.
Il mio pubblico secondo i dati dei robot di google è prettamente maschile, il che non significa che gli interessino le tette. Certo, anche alle ragazze interessano, è roba loro.
Infatti qui ne parlo urbi et orbe. Non faccio distinzioni.
Sei qui per farti le pippe sei cascato male. Sarò misogino nella trattazione?
No, si tratta di una iperbole politicamente scorretta alla faccia di tutti i benpensanti.
Che poi se dici "tette" sei vietato ai minori ma se usi uno sparatutto puoi giocarci. Cosa strana: un infante si è appena staccato da quelle di mamma quindi per lui è solo nutrimento.
Il male è negli occhi di chi guarda. E nelle orecchie di chi ascolta!
Sarà capitato anche a te che persone ti dicessero "ti ho sentito alla radio!" Oppure, "ho visto quel film e l'amico del protagonista lo doppiavi tu!" O magari "ti ho visto ieri in Piazza Maggiore!" mentre tu eri in Nepal. Chi è che va in giro con la mia faccia?
Ma restando sulla voce, mia madre, che dovrebbe riconoscere la mia voce con i tappi nelle orecchie dentro un treno pieno di sassi che scarrozza su un buinario in una salita piena di dossi, mi scambia per mille altri e non mi riconosce.
C'è da esplorare la psicologia del mestiere per approfondire cause ed effetti. La questione ha un solco profondo.
Ma facciamo un passo indietro.
Qualche tempo fa una agenzia con cui lavoro da anni mi manda un file dicendomi che avrei dovuto leggere il testo seguendo lo stile dello speaker di cui mi avevano allegato il file d'esempio
perché era piaciuto tanto al suo cliente. Eh, ci credo! Ero io! Ho fatto finta di niente, mi piace vincere facile.
E la cosa si è ripetuta qualche volta negli anni anche con altre agenzie e clienti e una volta su Bodalgo. E li può accadere, gli astanti sono molto distratti.
L'ultimo caso è di pochi giorni fa per una correzione sul doppiaggio di un filmato ma, in quel caso, la voce da correggere non era la mia, non ero
io. Mi somigliava sì ma caspita, non ero affatto io. E non sarebbe stato né etico né possibile fare una correzione. Mi faccio pagare per correggere il file di un altro collega? No! Comunque,
mi ha fatto pensare.
In un momento di meditazione serale guardavo Jeremy
Clarkson nel suo nuovo format. Dopo Top Gear si è messo a fare il pastore. Non un pastore "Pastore" ma un pastore... pastore... beeeh!
Certo, tutti e due i pastori, quello con bibbia e vincastro e quello col cane hanno entrambi le pecorelle ma in un caso fanno beeeh, nell'altro no. Almeno, credo. Insomma fa il contadino
per Amazon.
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Il belare delle pecore lo trovo curioso: se sapessero articolare consonanti e vocali sarebbe un bel parlare e magari saremmo costretti a pagargli i diritti per l'uso della lana e del latte.
Non so che direbbero ma hanno voci molto intense e profonde.
Si distinguono pecore da agnelli per il tono che varia ma non riusciresti mai a distinguere un belato dall'altro, a dare un nome alla pecora. Non senza frequentarle un po' imparando a
riconoscere Beatrice da Simonetta dalla voce. Oppure Arnaldo da Geremia. Voci profonde.
L'equivoco accade anche coi tratti somatici delle varie razze umane che popolano la terra: noi fatichiamo a scriminare giaponesi da vietnamiti o cinesi: per noi tutti uguali sono.
E pure loro hanno le stesse difficoltà, che ti credi?
No, non fra di loro, con noi! Italiani e spagnoli, tedeschi e austriaci, francesi e polacchi, americani e scozzesi, russi e rumeni, greci e macedoni.
Adesso capisco!
Ecco perché si dice mogli e buoi dei paesi tuoi!
Se tua moglie giapponese ti becca in atteggiamenti compromettenti con una signora vietnamita come fai a spiegarle che non ti eri accorto dello scambio? Cara... kiri!
Le pecore dicevo, quando belano hanno tutte la stessa voce e non diresti mai questo è Arnaldo e quella è Beatrice. Ho affibbiato nomi umani solo per capirci.
Così quando noi si bela al microfono convinti che la nostra voce sia unica e riconoscibile potrebbe essere che ci sbagliamo. In particolare quando adottiamo quel tono
fesso dello speaker.
Quel classico modo di parlare che tutti imparano a scuola e poi affettatamente atteggiano davanti ad ogni microfono. Lo spot, il documentario, il doppiaggio di D-Max. Eh, devono fare le pause per
il sync in assenza di un adattamento labiale dello script. Una questione tecnica.
La Callas la confondi? Sì, porca vacca!
La Callas la confondi con la Tebaldi!
Pavarotti no! Era inconfondibile da la Callas.
Ma avresti potuto fare confusione con Placido Domingo!
Puerca vacas!
Troppo vecchio come paragone?
Allora confondi Katema 126 con Salmo! In particolare quando usano l'Autotune. Cioè dai è impossibbile confonderli, cioè hanno un karma troppo personale. Salmo... dal Salmo 126, Katema. Preghiamo fratelli.
Le pecore sono confondibili una con l'altra, le soprano gorgheggiano, i tenori tenoreggiano, e i rapper rimeggiano bastonando l'italiano come le squadracce fasciste ai tempi di Benito e vengon confusi dalle masse.
Certo se conosci le pecore, se frequenti i rapper e ti sei sparato tutte le compilation del canto lirico per te non sarà così. Se li conosci li riconosci.
Quasi sempre. Generalizzo!
Psicologia della cuffia!
Detta così sembra una cosa grossa, da accademia, da università. Però, quando lavoriamo al microfono, in particolare quando cerchiamo di ispirarci a qualche suono celebre, tendiamo a sentire quel suono. Nella cuffia!
Ma quel suono si sovrappone al nostro recitato direttamente nella testa e ci da l'impressione di essere noi a produrlo.
Nel doppiaggio, quando i novizi mandano provini, spesso inviano scene celebri e imitano il doppiatore. In realtà si dovrebbe doppiare la scena utilizzando la lingua originale e al massimo imitare l'attore originale per il doppiaggio, non il doppiatore.
Parlando di cuffie, alcune sono molto incentrate sui bassi e li pompano a dismisura. Quelle creando una falsa voce tra orecchio e cervello.
L'ascolto con le cuffie spesso falsa.
Un ascolto estremamente controllato e gonfiato dalle cuffie che caricano su frequenze basse e si aggiungono al suono che già l'orecchio percepisce dall'interno del corpo, si somma e allontana dalla realtà.
Questo suono, falsato, viene memorizzato. Il cervello trasformerà la propria voce in un suono che non corrisponde a ciò che gli altri sentono.
Quindi la cuffia non va usata per capire come si suona ma per seguire una traccia da doppiare. Infatti in doppiaggio si usa un telefono o comunque un auricolare che riporta solo l'audio originale da doppiare.
Questi meccanismi spesso portano chi si approccia ad ascoltarsi con l'idea di un suono, appiattendo la resa e l'originalità della voce stessa nel tentativo di assomigliare a qualcosa di diverso.
Alcuni poi non riescono proprio a sentirsi in cuffia perché sentono un suono che non riconoscono. E spesso non si riconoscono riascoltandosi.
Al di fuori di stretti ambiti professionali o di particolari talenti, la gente normalmente è sorda. Sente la frequenza di base, il colore generale di un suono. Il legno è marrone, l'acqua è blu. E nel cielo ci sono le nuvolette.
La sordità non è fisica ma mentale, il nostro cervello adatta tutto quello che percepisce e lavora per riconoscerlo.
Vediamo un volto, ci siamo abituati ad un suono legato a quel volto.
Quando il volto non c'è, tutto ciò che assomiglia a quel suono ci porta ad associare quella voce al volto, quindi anche al film che abbiamo visto.
Certo, non è così per tutti.
Solo per la maggiorate e comunque una rondine...
fa la cacca sul parabrezza.
Lo so che avevi pensato alla primavera. Programmazione.
La psicologia dello slogan!
Cosa sentiamo? Non sentiamo. Non sentiamo alla radio e alla TV!
Non solo il suono ma persino le parole subiscono una elaborazione che ne definisce un significato personale il cui risultato dipende da come il cervello è stato programmato. Sì, si tratta di
una sorta di programmazione: è possibile programmare le menti. Gli slogan sono dei comandi che ripetuti provocano reazioni inconsapevoli. Think different! E tutti con lo stesso telefonino,
identico. Ma non doveva essere different? Different dalla concorrenz.
Scherzo. Ma non troppo.
Noi speaker abbiamo un allenamento ad assegnare un suono agli slogan. Una cadenza. Siamo programmati a farlo. Le chiusure assertive.
- il gusto pieno della vita.
Se gli slogan li fai recitare a dieci speaker te li faranno più o meno nello stesso modo. Dieci copie molto simili.
Certo, se agli speaker gli dici di essere creativi lo saranno. Gli attori in particolare avranno più estro. Ma nella vita reale spesso persino il cliente preferisce i cliché. Occorre imparare gli standard delle chiusure.
Ed ecco perché in certe intonazioni ci somigliamo un po' tutti.
Si ma... le tette? Ci arrivo, abbi pazienza.
La psicologia dell'unicum!
Qualche tempo fa io e due uomini - che non conosco ma con cui facciamo un trio a questo punto - siamo stati beatamente confusi all'interno di un confronto coi miei colleghi di chat! Professionisti del voice over.
Ah, non ti dico, questa cosa mi ha arrovellato.
Se sono confondibile per loro che hanno l'orecchio allenato, figurati per un ascoltatore di passaggio.
Ma non per me! Io non sono loro! E loro non vorranno essere me.
O si? He! Perché anche io ho i miei idoli ma non so se loro vorrebbero essere me! I miei idoli! Pensa se dicessero a Fabrizio: oh, sai che la tua voce somiglia a quella di Paolo? Che direbbe
lui? Chi cacchio è Paolo?!?
Perché il bello degli idoli è che non conoscono i propri adepti.
Posso io essere a mia volta il riferimento per qualcuno? Sicuramente. Sono perfino bello. Dentro. E magari quei due mi stavano imitando! Caspita che trip!
Ma che forse forse tutti e tre abbiamo gli stessi idoli e veneriamo gli stessi giganti del mondo della voce e quindi recitiamo lo stesso mantra?
O siamo davvero unici e somiglianti?
Scopro che in certe occasioni siamo come i bicchierini di carta del caffè:
belli pieni di roba buona quando escono dal distributore automatico, da avercene sempre una scorta.
Finito il caffè però il bicchierino vola nel cestino dei rifiuti.
Tanto ce ne sono altri 1000 di bicchierini e sembrano tutti uguali.
Siamo forse intercambiabili? Come... come... come Dick York, il primo marito di Vita da Strega. La serie TV.
Quando se ne andò dalla serie televisiva, Dick York venne sostituito da Dick Sargent e nessuno se ne accorse nemmeno. Dick York e Dick
Sargent. I Dick sono forse tutti uguali?!? (l'ha capita nessuno questa!)
Ma dopo una lunga meditazione comprendo di avere sbagliato atteggiamento. Perché ne ho fatto una questione di principio: io ero quella voce là ma tu mi hai scambiato per questa qua.
Va bene, cosa cambia? Adattarsi è la migliore strategia.
Ho pensato che se mi dicono che mi hanno sentito da qualche parte in TV o al cinema o alla radio ecco, la prossima volta gli darò ragione, gli raconterò dell'arte appresa sulle tavole
del palcoscenico, la polvere del teatro che ti resta attaccata alla pelle e ne ottunde i pori impedendoti di respirare se non alla presenza dell'arte stessa.
Egli mi guarderà così come si guarda un artista. Un opera d'arte. Il Michelangiolo!
E quando sarà con altre persone, allora, sentendo uno bravo parlare da qualche parte dirà: io lo conosco quello, davvero bravo. Perché chiunque sarà davvero bravo dovrò essere io.
E camminando per strada mi basterà dire un "ciao amici" tra la folla per far girare tutti verso di me con la domanda sulla bocca: ma dove l'ho già sentito?
Intanto il mio nuovo amico, quello starà la in fondo alla piazza a dire: ... io lo conosco. Siamo amici, mi ha confidato del suo mestiere. Bravo, proprio bravo.
E non dovrò nemmeno fare la fatica di dimostrarlo!
Tutto guadagnato sulla fiducia.
Ecco, me ne infischierò delle questioni di principio e lascerò che accada l'inevitabile:
somiglio così tanto a quelli più celebri che verrò confuso con loro al punto da farne parte come il solco è parte di un bel seno prosperoso.
Il vuoto che sta tra due grossi ripieni.
Protagonista della scollatura, il vuoto tra le dune.
Togli il vuoto e resta il nulla.
Io sarò l'equilibrio.
Un giorno sarò sul palco con Fabrizio alla mia destra e Niseem alla mia sinistra. Io, lì, nel mezzo. Il vuoto che fa perdere il fiato.
Insomma, lo so che suona strano, che sembra opportunismo di bassa lega eppure mi chiedevo: se l'agente di Sabrina Salerno avesse mandato per sbaglio le tette di Manuela Arcuri ad un produttore. Le foto chiaramente!
Che faresti se tu fossi la Salerno quando ti chiamano?
Buongiorno Signorina Salerno, ho ricevuto la foto dal suo agente, mi servono le sue tette per il mio film.
Gli dici "non sono le mie..." Eh?
Naah, parti, smolli la scollatura e vai sul set.
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