Sono stati scritti libri, girati film, raccontati aneddoti sulla radio libera ma quasi tutti quelli che ho visto o sentito avevano il sapore glorioso del passato raccontato in forma tirata a lucido e un po' nostalgica.
Io però la radio libera di periferia, quella polverosa e buia, povera e fumosa l'ho vissuta e me la ricordo molto bene.
Quindi di fatto questa è la mia personale storia della radio libera, come l'ho vista nascere, come l'ho vissuta, amata. Nessuna nostalgia! I tempi sono cambiati come fanno da sempre.
Le radio sono sempre un mezzo fantastico, capace di arrivare dritto al cuore delle persone. Gli editori lo sanno, sanno che con la radio e la TV si può cambiare la percezione della
realtà della platea, quindi la radio può essere un mezzo per la libertà di pensiero ma anche per indirizzare un pensiero.
Onestamente credo che di libero nella radio ci sia rimasto poco.
Però una specie di radio libera dei primi anni, sgangherata, esiste ancora nei podcast, su youtube, nei social, perché sono un mezzo anche questi per esprimere quel che ci piace raccontare. La
gente racconta ancora e senza dovere spiegare niente a nessuno! Parla di sé, parla ancora alle altre persone.
Ma adesso ti racconto un pezzo di storia che magari non hai vissuto.
Ecco come è andata!
La radio locale era l'alternativa alla voce unica della radio di stato. Era un suono allegro, sgangherato, casual. Era un po' come ascoltare una specie di karaoke senza il testo, un nastro
che riproduce a caso suoni registrati chissà dove ma che poi all'improvviso ti sorprende: in quell'attimo magico in cui una canzone mai sentita ti cattura, una voce un po' sgraziata ti
saluta come fosse il tipo della casa di fronte che però parla direttamente con te dalla radio. Ti parla dalla radio da cui per anni hai sentito professoroni, giornalistoni, personaggioni
seri e irraggiungibili. Da quella stessa scatolina che era terreno di altri fino ad allora. Parla di casa tua, manda un saluto a una persona che ti sembra di sapere chi è, parla della strada
dove passi tutti i giorni, parla di cose leggere e passa musica nuova mai sentita prima. Una botta al cuore in FM mono.
Così tanta musica! Gente che parla di qui e adesso! Anche la pubblicità così basica, sincera, del negozio all'angolo e che arriva come un consiglio da un amico.
Così, come tante luci che si cominciano ad accendere nel buio, in ogni casa, in ogni bottega, in ogni garage, in ogni laboratorio artigianale, sopra ogni ponteggio di muratori, dentro ogni automobile e camion si accende la radio locale, quella che porta il mondo dentro il paese, che porta la piazza in casa, una radio che parla di gente che puoi salutare solo aprendo la finestra.
Questa è la radio che ho vissuto io. Sapeva di rivoluzione, sapeva di quella sigaretta fumata di nascosto, del bacio rubato sull'uscio, del fumetto trovato sotto i piedi del letto e che ci hai riso tutta la notte. Era un sapore di libertà, libertà di dire a tutti quello che pensavi, libertà di sentire l'idea di un perfetto sconosciuto, libertà sconfinata nei 25 chilometri di raggio dove l'antenna dell'acquedotto riusciva a mandare il segnale. Quando aprivi il microfono per il tuo "buongiorno" davanti a te non c'era nessuno ma tu sapevi che una persona, una in particolare aveva la radio accesa e ti stava aspettando. Ti sentivi parte di una comunità. Li conoscevi tutti, uno ad uno. E tutti conoscevano te senza neppure sapere il tuo nome. Comunque, non avresti più potuto farne a meno. Mai più.
Ma come si faceva a fare una radio libera in quegli anni?
Anni '70/80, serviva un gruppo di amici scelto:
Un amico che aveva intrallazzi con comune, commercianti, pro loco locali. Quello era l'aggancio per soldi, serate e permessi.
Un amico che sapeva mettere le mani sulla roba elettronica, che magari recuperava materiali in disuso come pali d'antenna, antenne, cavi, mixer, giradischi, mangianastri. C'erano le cassette a nastro, mica i file!
Un amico robusto perché i trasmettitori, le antenne e i materiali erano pesantissimi.
Un amico che s'intendesse di musica più degli altri e sapesse organizzare una programmazione varia che non fosse tutta alla casuale scelta del dj in onda.
Uno che sapesse scrivere due righe per fare uno spot per lo sponsor.
Uno che avesse molte amiche, altrimenti la radio sembrava triste come una caserma. E via dicendo, più ce n'erano meglio era. Ah sì, certo, uno dentro al Kral o al circolo Arci
che trovasse una sede con acqua, corrente elettrica e magari pure un telefono.
Erano molto rare le ragazze dj. Almeno dalle mie parti.
Ricordo quella riservata e silenziosa che stava sempre in disparte ma che aveva una voce flautata e meravigliosa!
L'altra che in privato parlava come un camionista di Sant' Agata, tirava schiaffi come un uomo incavolato e rideva sgangheratamente ma, quando si apriva il microfono, sembrava la doppiatrice più
famosa del cinema.
Le ragazze comunque, avevano una visione della radio più sofisticata, musica scelta con più cura, linguaggio più curato. Da loro potevamo imparare ma erano pochissime. Era il luogo dove ragazze e
ragazzi insicuri trovavano spazio grazie alla loro bellezza, la voce e la voglia di raccontare cose alla radio, parole e canzoni. Le radio erano il raduno dei ragazzi nerd e un po'
disadattati e che in fondo erano quelli che avevano più cose da dire. Quelli fighi, belli e alla moda all'epoca andavano al bar e avevano... brutte voci. Diciamolo!
bzzzt! Bzzzscawlawrssssht... bzzz... la radiofrequenza!
L'etere era dello stato. Dagli 87,5 ai 100 Mhz era tutta ciccia della Rai. Per legge un privato non poteva trasmettere nulla via etere. La prima concessione fu di trasmettere via cavo. Già! Poi qualcuno decise che presto si sarebbe arrivati alla concessione anche via etere e così cominciarono le prove tecniche di trasmissione oltre i 100Mhz, Radio Bologna, Radio Parma, Milano International già allora sui 101. Ma quando nel '74 una sentenza della Corte Costituzionale diede il via libera alla trasmissione della radio locale fu un susseguirsi di aperture di nuove radio locali in FM.
Essendoci pochissimi segnali radio, all'epoca un campanile in pianura o la torre dell'acquedotto consentivano di trasmettere un segnale FM mono per parecchie decine di chilometri con pochissima
potenza. Un raggio più limitato dell'AM ma che dava modo di trasmettere in locale. L'idea venne a molti e a quel punto ogni collina con un fienile che guardasse la valle aveva un antenna puntata
verso il basso. Due antenne, una per ricevere il segnale dagli studi e una per trasmettere quel segnale amplificato in FM! La radio liberà è anche stata la prima a trasmettere in stereofonia.
I trasmettitori erano autocostruiti o reperiti in qualche luogo e riparati da un tecnico amico di qualche dj.
Un apparato trasmettitore che lavorava su una frequenza se per qualche ragione non era perfettamente tarato o aveva qualche mal funzionamento poteva creare le cosiddette spurie. Avrebbe dovuto lavorare su una frequenza in particolare entro i limiti tra 87 e 107 ma quella volta la spuria gli fece generare una trasmissione su una banda differente, ed era quella in cui comunicavano la torre di controllo dell'aeroporto e l'aeroplano. Quindi un bel giorno il pilota in avvicinamento ha creduto di avere acceso l'autoradio invece che la radio dell'aereo.
Le autorità, chissà perché, forse il disco era davvero brutto, se la presero parecchio e ci fu un'ordinanza per la chiusura delle emittenti locali. Che battaglia!
Avevano ragione loro ma anche noi avevamo le nostre ragioni, non tutte le radio avevano disturbato l'aviazione civile così EscoPost girava col radio goniometro a beccare sul fatto i marrani dj
che in un gruppo di 88 emittenti si alternavano in una protesta attraverso i ponti radio in FM. DJ pirati!
Fu presto chiaro che occorreva una regolamentazione e con le regole cambiò buona parte del modo di fare la radio libera.
Oggi, tasse e ulteriori regolamenti sull'editoria, ma anche l'evoluzione del commercio locale in catene di franchising o la chiusura proprio di certe attività locali, oltre all'immenso bacino di alternative all'intrattenimento musicale e alla pianificazione pubblicitaria in autonomia sul web, ha visto il riorganizzarsi della piccola emittenza libera FM che è diventata una macchina molto complessa da tenere in piedi per un gruppo di ragazzetti.
Pronto, mi senti? Fin dove mi senti?
Si facevano chilometri con l'auto dell'amico patentato e munito di autoradio per andare fin dove arrivava il segnale della radio, per misurare la portata. E poi c'era anche allora da stabilire se la radio era ascoltata. Come facevi allora a sapere quanto eri ascoltato? Beh, partivi in motorino e andavi dentro ad ogni bar, negozio o ufficio a sentire cosa ascoltava la gente. Se avevi davvero la faccia tosta gli sintonizzavi la radio su quella giusta, la tua radio. Sempre ammesso che proprio in quel momento non ci fosse un bel buco! Oppure che il dj avesse deciso di mettere in onda il disco più sfigato mai inciso o che avesse dimenticato il microfono aperto mentre stava intortando una tipa al telefono e così, sotto il disco si sentivano tutte le dolci parole del dj rubacuori.
Il buco era un momento di imbarazzante silenzio che durava oltre i 3 secondi. L'unica autorizzata a fare il buco, ed era una sua caratteristica, era la RAI.
Ma non la radio libera! Significava che il dj si era addormentato, oppure che il disco sul secondo piatto (il nome del giradischi) non era ancora pronto, oppure che qualcuno
aveva fatto saltare la corrente e c'era solo il segnale di portante.
C’era anche un fatto curioso, ogni tanto arrivava una lettera dal nord Europa con allegata una cassetta audio dove vi era inciso un lungo pezzo di trasmissione della nostra radio. Erano persone dalla Norvegia o dalla Scandinavia o da alcuni paesi dell’est che in qualche modo riuscivano a sentire la radio e per dimostrare quanto apprezzavano sentire una voce straniera ci scrivevano una lettera intraducibile ma che a noi piaceva pensare fosse di saluti ... e complimenti! Che altro potevano essere?
...per quello che ho da fare, faccio il dj!
In quegli anni sono nati veri fenomeni. Il Vasco era un DJ di Punto Radio a Zocca. Una storia iniziata al Punto Club di un paesino lussureggiante sulle colline, Monteombraro. In seguito i ragazzi ispirati da Radio Milano International hanno aperto Punto Radio, prima a Monteombraro con ben 10 Watt puntati a valle e poi da Zocca dove quella radio è diventata storia.
Oggi in media una antenna ha 5000 Watt, altro che 10 Watt.
Dee Dee Jackson cantava meteror meteor meteor man! Era il 1979 e di meteore ce ne sono state davvero tante.
Ci sono stati moltissimi fenomeni locali, meteore la cui scia luminosa è scomparsa nel tempo: il Barone Rosso, pure lui di Zocca! Una donna ogni 3 battute di mazurka, occhi tristi come una birra calda, baffi allegri come una polka. Faceva parte del mondo della filuzzi e del liscio.
Il Liscio, la fonte di reddito di tantissime emittenti di provincia, anche il momento più odiato dai ragazzetti che volevano fare la radio con la Dance, la new wave e il Rock imitando le radio americane e inglesi! Musica italiana sì ma solo di certi cantautori.
Ma poi arriva Kocis! Beh, non proprio una meteora, ancora molto attivo! Allora era celebre per diverse canzoni impegnate e per una militanza nel background della musica con Guccini e gli
Stadio per dirne due! Era una montagna che sovrastava tutti noi giovanissimi aspiranti dj.
Kocis aveva inciso anche un LP in vinile con canzoni rock impegnatissime. Ne ho ancora una copia. Conduceva un programma bello e seguito, in duo con Massimo il suo amico musicista e paroliere. Si
portavano appresso una ragazzina carina che cantava come una dea. Ma cantava proprio il liscio e il melodico tanto insopportabile per noi ragazzi rock e new wave. Improvvisamente il liscio
diventava perfetto! Arrivava Orietta e la radio si riempiva improvvisamente di ragazzini dj che, beh, passavano di li. Per caso. A sentire la fisarmonica di Orietta!
procurarsi i dischi
Non ci si pensa ma dovendo mettere in onda musica tutto il giorno servono le canzoni e in quegli anni si parlava di dischi. Tantissimi dischi.
Il vinile era la materia prima ma a noi dj appassionati interessava sapere come suonavano. Questo ci portava nei negozi di dischi. C'erano negozi in ogni città e alcuni riuscivano ad avere dischi
introvabili, dischi rari e incisioni di piccole etichette.
La scelta della musica andava dai successi da classifica, classifiche UK, USA e tedesche alle le classifiche italiane. Ma non è che potessimo suonare sempre e solo quei dischi! Eravamo noi dj ad andare a cercarli i dischi e per non svenarci, dato che non c'erano soldi, si facevano contratti con i negozi delle zone coperte dal segnale radio e si passava "il disco della settimana" offerto dal "Disco Super", i tuo negozio di musica. Oh yeah! Sì, nei casi migliori le case discografiche ti inviavano i loro dischi poi sono nate abitudini commerciali tipo "ti do il disco importante se mi metti in onda il disco ciofeca" perché le etichette discografiche avevano anche roba brutta che nessuno comprava ma che a loro era costato produrre. Inutile dire che le radio più forti commercialmente erano anche quelle che avevano per primi il disco che era passato in TV, il cantante che aveva la copertina della rivista o la colonna sonora del film del momento.
Le riviste settimanali e le fanzine erano il mezzo per sapere cosa bolliva in pentola nel mondo della musica e poi, ogni sabato pomeriggio andavamo nel nostro negozio e con le cuffie
ascoltavamo tutti i dischi nuovi alla ricerca del disco che sarebbe diventato un successo indimenticabile.
A dire il vero ci andava il direttore della radio cioè quello che aveva i cordoni della borsa perché se ci fossimo andati tutti avremmo fatto un debito che la storia della Lehman Brothers era un
prestito di caramelle.
Serviva musica italiana, servivano le hit che tutti passavano almeno due volte al giorno, quelle da quattro volte al giorno e quelle da "Baaasta! Abbiano già sentito questo pezzo!!" Poi servivano
i pezzi dance, che per radio avevano poca importanza ma in discoteca la sera erano da riempi pista. Non potevi non avere la canzone che la gente ti richiedeva al telefono!
Dj, mi metti un disco?
Le richieste degli anni '80! Era dura provare a farle alla Rai o a Radio Capo D'Istria! Rotation, un programma serale dalle 10 a mezza notte con dediche e richieste all'832040! Non si usava
il prefisso per le chiamate locali. Era condotto a rotazione dai novelli DJ che imparavano il mestiere e usava come sigla Herp Albert, Rotation! E a mezzanotte tutti in pizzeria!
"Su e giù per la scaletta"! Non quella del pollaio, la scaletta delle canzoni scelte dall'ascoltatore! Era il programma di dediche e richieste dove si leggeva una
lettera arrivata via posta, di carta, tutta colorata, piena di adesivi, collage e i titoli delle canzoni con i messaggi da leggere per quella mezz'oretta di musica tutta dedicata
ad un solo ascoltatore protagonista della rubrica della piccola radio! Quasi ogni radio che si rispettasse aveva la propria rubrica dedicata ai fans.
Poi c'era quello che si faceva chiamare con il cognome di un celebre giornalista, nome d'arte. Lui parlava bene con accento forestiero (bastava che parlasse in dizione per sembrare straniero), sembrava uno della RAI e dava importanza al palinsesto con giochi a premi e quiz condotti con una proprietà di linguaggio rara nelle radio locali di allora. Lui metteva le richieste ma spesso era in grado di argomentare sulla canzone, sul cantante, insomma ne sapeva a pacchi.
A proposito di pacchi, anche i conduttori a volte erano delle piccole celebrità: stelle rifornite di regali e omaggi da tutti gli sponsor dei quartieri dove arrivava il segnale della radio. Sponsor che hanno avuto alcune delle voci più celebri delle pubblicità nazionali di oggi che allora erano conduttori delle radioline locali e le voci dei loro spot.
Quelle radio tra anni 70 e fine 80 avevano già gli stessi ingredienti delle nuove radio private di venticinque anni dopo. C'erano i duo di quartiere capaci di parlare all'intera città e sconosciuti in provincia. C'erano le dirette dal bar, dallo stadio, dalla piazza dove c'era la cabina telefonica e ci si faceva raccontare le storie dagli ascoltatori.
Di li a poco sarebbero arrivati Gianni Riso matto come un cavallo e Fiorello, Jovanotti, Amadeus, Linus, espressioni della radio libera a diffusione nazionale del decennio successivo. Ma la radio locale, quella di quartiere dei primi anni, era un mondo a parte.
la città è lontana, laggiù!
La radio libera di quegli anni somigliava alla gente. Rifletteva esattamente il tempo in cui si viveva: tra periferia e centro città per esempio c'era una grande differenza! Forse c'è ancora
ma allora era evidente come un brufolo sulla fronte di Yul Brinner! Come chi è? L'attore calvo più famoso di
allora!
Ok, allora come un brufolone sulla fronte di Dwayne Johnson! Forse è più chiaro!
Negli anni delle radio libere i ragazzotti di periferia e quelli del centro erano due stati sociali diversi. A 30 chilometri di distanza si era in un altro mondo con gente che parlava una
lingua differente. Più ti allontanavi dal centro e più eri del volgo. Quindi figurati se provenivi dalla buia provincia. Anche le ragazze subivano la stessa sorte, quelle di
periferia erano più opache rispetto alle smorfiose luccicanti reginette del centro città. Inarrivabili e snob.
La musica delle radio cittadine era cosmopolita, la stessa dance raffinata che si suonava nei locali notturni del centro delle grandi città del mondo, la dance di Manhattan, di Londra, di
Berlino. Un genere che però spesso non trovava riscontro nelle richieste della gente, infatti la classifica degli ascolti nazionale aderiva più alla programmazione di periferia che alla musica
delle disco del centro città.
Forse perché già allora l'Italia era una grande periferia.
In quei momenti si sentiva spesso Billy Joel che suonava Uptown
girl, a ricordarci che neppure dagli anni '50 e neppure su un diverso continente le cose erano differenti né erano mai erano cambiate.
Night and day
La radio libera degli anni 80 come quella di adesso non doveva mai spegnersi. Eppure non era possibile che qualcuno fosse in diretta sempre 24 ore al giorno.
In assenza di sistemi informatici, serviva un tampone, un sistema di messa in onda pre registrato.
Lo chiamavamo Akay, il dj che non dorme mai. Era un registratore a bobina che aveva il pregio di funzionare da destra a sinistra e poi di fare il cosiddetto auto reverse e riprendere a suonare
nel verso opposto. Per capirci: un nastro prima o poi finisce e tocca riavvolgerlo per riascoltare oppure nel caso dei nastri a doppia pista, girare la bobina sul lato opposto.
C'erano tutta via dei registratori a bobina che arrivati in fondo, grazie ad un piccolo pezzetto di nastro metallico, riconoscevano la fine del nastro e cambiavano la direzione mettendo in
esecuzione il lato B della bobina. Fino a che c'era corrente, fino a che il nastro reggeva.
Non tutte le bobine erano a doppia pista stereo, ma questi in particolare, pur offrendo una qualità sonora leggermente meno cristallina, offrivano fino a 8/10/12 ore di musica pre registrata e senza interruzioni. Era il metodo più economico che avevamo a disposizione per coprire le notti e tutte le ore dove non c'era nessuno dal vivo.
Però c'era un sacco di lavoro da fare: occorreva incidere la musica dal vinile alle bobine. Si registravano le bobine per ore e ore con musica varia, segnandosi su un foglio le canzoni inserite,
etichettando il nastro così da riconoscerlo: nastro notte 1, nastro notte 2, nastro week end, nastro sabato notte, nastro dance, nastro domenica pomeriggio, nastro natale.
Il team dei ragazzi si organizzava per questi lavori dandosi compiti: chi faceva una bobina, chi l'altra. Quello che aveva il programma più ascoltato doveva registrarsi la diretta su un nastro
per le repliche.
Gli uffici delle emittenti avevano almeno una sala diretta e una sala registrazione dove preparare spot, bobine, farsi le cassette per l'autoradio... registrare i programmi per le ore in cui
si stava in officina a lavorare ma si era contemporaneamente in onda con la propria trasmissione.
La messa in onda la poteva fare chiunque, anche uno non abilitato a parlare alla radio e le registrazioni avvenivano nei momenti liberi del conduttore incise su nastro magnetico C60, C90 e a volte C120. Il C60 durava 30 minuti per lato. Il C120 un ora per lato ma il nastro era molto sottile e alla lunga si rompeva. Di rado si usavano le bobine dell' Akai perché servivano per notte e fine settimana e costavano care.
Per le pubblicità si usavano i C3, 90 secondi di nastro per ogni lato. Anche le pubblicità incise negli studi di registrazione professionali alle emittenti arrivavano su nastro, quelli più fighi usavano il DAT che però non c'era sempre nelle radio piccine, altri usavano le bobine di cui abbiamo parlato ma siccome quelle bobine potevano venire incise da diverse macchine con testine magnetiche differenti, velocità differenti eccetera, non sempre si era certi di poterle usare, quindi alla fine si registravano gli spot su sistemi multimilionari e li si riversava su un nastro C3. I mangia cassette erano chiamati piastre. Tape solo nelle radio di città, forse.
Mentre si registrava sulla cassetta, occorreva saper riconoscere che il nastro stava per finire, lo vedevi dalla finestrella dei perni della cassetta. Quando sapevi che mancava poco sfumavi la
musica e mettevi uno stacco liner della radio che facesse capire all'incaricato della messa in onda che era ora di posare il giornaletto e mettere una cassetta pubblicità nella piastra B e girare
il nastro del programma sulla piastra A.
Tornando alla diretta, quando c'erano i nastri registrati occorreva che qualcuno li mettesse in onda. Capitava spesso che il ragazzo che doveva fare la guardia alla radio si scordasse
l'appuntamento con il nastro C60 che dopo 30 minuti era da girare e che il nastro arrivasse alla fine e scattasse lo stop creando il buco!
A quel punto qualcuno, prendendosi un permesso dal lavoro per una urgenza di famiglia "Mia moglie sta per partorire! Ma se hai solo 15 anni! Volevo dire... la moglie di mio padre!" ... saltava al
volo sul motorino e a 75 Km all'ora, chino sul manubrio per favorire l'aerodinamica, sfrecciava sulle strade fino alla radio per far ripartire le trasmissioni.
A volte quelli registrati erano programmi di DJ famosi che venivano ospitati a pagamento nella propria emittente per dare lustro. Altre volte erano programmi pre registrati da qualche azienda che si era specializzata nella creazione di rubriche radiofoniche vendute ad abbonamento. Solo nei casi più eroici tutta la trasmissione era sostenuta dai ragazzi della radio, dal vivo e registrati.
L'Akai di cui ti ho parlato era cugino di altre bobine celebri, come il reVox.
Non essendoci computer, per farli funzionare di notte o nei week end erano spesso abbinati a macchine elettroniche dotate di sensori di vario genere che pilotavano vari reVox o Akai impilati in
un Rack con la funzione di automatizzare la radio. A volte usavano per esempio le note basse, intorno ai 20 Hertz. Un tono inudibile alla radio, una nota di durata variabile a seconda della
funzione, stop o riavvolgi, che veniva rilevata da un sensore il quale faceva fermare il nastro A e partire il nastro B, passare al nastro C, al D, riavvolgere il nastro. Se c'era silenzio per
più di 3 secondi faceva partire la riserva.
Con quel sistema non occorreva più registrare ore e ore di bobine di musica in sequenza che sarebbero andate in onda sempre uguali, bastava realizzare nastri per genere musicale: italiane nuove,
nastro straniere vecchie, nastro dance, nastro Hit e via dicendo. Più bobine e più reVox avevi e più varia era la tua programmazione in automatico! Era una play list preistorica.
Sono presto nate le radio solo musicali senza DJ anche di giorno, non solo di notte. Bastava che qualcuno andasse a vendere la pubblicità, la musica registrata faceva il resto.
la pubertà della radio libera
La radio si era evoluta. Tra la metà degli anni 80 e l'inizio degli anni 90 alla radio sono spuntati i baffi! O cresciuto il seno. Insomma, non era più un infante.
Un mutamento naturale con i cambi al vertice delle emittenti e l'arrivo di imprenditori che sostituivano gli appassionati alla guida delle radio. L'emittenza locale si stava trasformando
assieme al mondo che la circondava.
Non era più il tempo dell'antenna sull'acquedotto comunale o della programmazione di dischi affidata ai Dj. Stava nascendo l'emittenza privata professionale e di conseguenza anche i vecchi DJ dovevano prenderne atto.
I DJ si facevano anche la regia, il regista per la messa in onda qui è arrivato più avanti. Erano anni definiti stilisticamente dalla fine della caciara della radio di periferia e dall'arrivo delle emittenti automatizzate grazie ai primi computer, delle emittenti con "le voci belle", quelle con una canzone dietro l'altra, magari di sola musica italiana, sola dance, soli anni 60, 70, solo pop, sola classica.
A decretare il successo di una trasmissione spesso erano l'alchimia e l'equilibrio tra il lavoro dell'editore nel guidarti e nel farti arrivare lontano con il segnale della sua
frequenza e il tuo estro dal vivo.
A un certo punto, come una sorta di pubertà della radio in FM, si era definita la pratica della radio con poco parlato e molta musica. Un conduttore che da solo sosteneva un paio d'ore poi cambio
alla consolle. Merito anche del successo delle molte radio di sola musica che avevano raccolto una fetta di ascoltatori.
Sembrava che il DJ avesse finito le cartucce, non c'era più spazio per quel parlare privo di professionalità e neppure per il "lupo solitario DJ" e se non avevi nulla che la direzione definisse
interessante da dire, era meglio che mettessi due dischi di fila. Possibilmente due dischi belli in assoluto! Non quelli che piacevano a te!
Come un teen ager che si specchia di continuo per verificare se è bello e attraente la radio era a caccia dell'ascolto: si guardavano i numeri, le statistiche, i sondaggi per contare
gli ascoltatori e valutare il loro gradimento.
Ti piaccio? Ma quanto ti piaccio? Dimmi che non ascolti altre radio all'infuori di me, dimmelo daaai!
Giochi con grossi premi giusto prima dei sondaggi sugli ascolti come i politici che fanno asfaltare le strade prima delle elezioni.
Se i sondaggi ti piazzavano in alto entravi nelle liste che assegnavano le campagne pubblicitarie nazionali e c'era un grosso valore economico che dava ragione a queste scelte. Paura di perdere introiti! Soldi!
La sperimentazione? Guai, si faceva solo quello che altri avevano già provato e solo se aveva già avuto successo!
Hei, perché non inventiamo la ruota? Naaa si sa mai che la gente preferisca cavalcare! E poi ste pietre cubiche sono comode, non rotolano mica via e ti ci puoi sedere!
dalla passione alla professione
Fare di un hobby la propria professione non è un fatto scontato e neppure indolore. Si trattava di rimodellarsi, ricostruire o creare da zero la propria identità di conduttore
radiofonico.
Se i ragazzi di città avevano potuto godere di una istruzione migliore vivendo in famiglie borghesi, frequentando ambienti più cosmopoliti trovandosi quindi su un piano più adatto alla
professione, i ragazzi di periferia che sognavano di fare carriera nelle radio dovevano lavorare molto per migliorare il proprio stato.
Per tutti, quando nasceva la consapevolezza che non era possibile presentarsi professionalmente ad una emittente senza padronanza della lingua italiana e senza almeno una buona spolverata
d'inglese, ci si trovava davanti ad un bivio: continuo sapendo che da ora in poi sarà faticoso e non più solo un divertimento oppure lascio perdere e fino a che regge mi continuo a divertire?
Sì, perché non ti ho detto che quasi tutta la radiofonia fatta dai ragazzi era una passione non retribuita. Dilettanti allo sbaraglio. Anche nelle emittenti con un "padrone". Tutti noi
ragazzetti avevamo un lavoro o una scuola da frequentare quindi alla radio dedicavamo tutto il tempo libero che ci restava.
Il problema grosso lo avevano i liberi professionisti, le persone che facevano mestieri di rappresentanza o che comunque potevano gestirsi le giornate; avere quel fuoco dentro ti portava a
restare in radio anche quando avresti dovuto prendere la macchina e fare il giro dei clienti a vendere i tuoi prodotti oppure stare in laboratorio a lavorare e consegnare quel che facevi e per
cui davvero ti pagavano.
A parte un direttore e una segretaria, quando c'era, gli unici "pagati" erano quelli che avevano sponsor e che di fatto vendevano le loro performance attraverso la radio comprando i propri
spazi dalle emittenti e traendone un guadagno.
Ma lavorare in radio per professione era una cosa diversa! Farsi pagare per condurre trasmissioni cambiava l'approccio alla propria passione.
La cosa più difficile per chi aveva sempre fatto un po' quel che gli pareva nelle sue ore di diretta era stare sui binari definiti dall'editore. Io mi ero anche costruito una radio assieme
al mio amico Diego. Conoscevo ogni vite, ogni granello di polvere di quella radio.
La mia configurazione mentale doveva cambiare per aderire a quel che si aspettava l'editore che mi pagava per lavorare per lui, possibilmente seguendo le regole che aveva deciso lui. Non
potevo trattare la sua radio come avevo sempre fatto, come roba mia. Quella era la sua azienda. Ed era configurata come tale, con mansioni, uffici, personale, strategie di marketing.
speaker o dj?
In quegli anni si stava sviluppando la registrazione dello speakeraggio per le TV private o per i VHS industriali. Le aziende realizzavano filmati che presentavano il loro prodotto e li
doppiavano in più lingue per poi inviare la video cassetta ai clienti in tutto il mondo oppure per proiettarli alle fiere di settore. Nelle TV private spesso passavano eventi, sportivi o
giornalistici ma che necessitavano di commento.
Si andava direttamente negli studi di video montaggio, di solito la cantina o la soffitta di un video operatore e con un microfono collegato al Betacam si incideva la traccia della voce.
Il lavoro del doppiaggio in over voice era parecchio differente rispetto alla conduzione radio, era necessario rivedere il proprio modo di parlare, occorreva perfezionare la dizione,
l'articolazione, la portata della voce, l'attenzione ai tempi dell'anello, la recitazione e il modo di porsi verso il testo che non era né la presentazione di un disco e neppure la lettura di uno
spot. I nostri riferimenti erano i narratori dei documentari RAI che però erano piuttosto ingessati, molto classici e con il passare del tempo sapevano di vecchio.
Si impose allora un nuovo stile che raccoglieva il meglio dei due mondi, quello della conduzione radiofonica in jeans e maglietta che parlava con un ritmo e un cantato un po radiofonico e quello
del narratore in giacca e cravatta un po' ingessato ma dalla pronunzia assolutamente perfetta. Una via di mezzo tra la pubblicità e il documentario. Qualcosa che puoi sentire in ogni
presentazione aziendale su Youtube e anche nei documentari rivisti in forma moderna. Almeno in quelli con una voce decente e professionale.
Il vento stava cambiando ancora e gli editori in gamba annusavano l'aria.
Tornava la voglia della radio parlata e divertente. La musica era ovunque e ormai le emittenti programmavano tutte la stessa roba, guidate dalle case discografiche che avevano mandato in pensione i DJ come selezionatori di dischi.
La musica da sola non faceva tutta la differenza.
Una radio caciarona e divertente in RAI l' aveva fatta per primo Boncompagni ma la sua era una grande commedia orchestrata e ricca di personaggi e GAG, un circo, le altre conduzioni sulle reti
nazionali erano molto curate, scritte, preparate, professionali. Di nuovo, come già in passato ma con più cura e pianificazione, legata anche alla TV, ogni emittente avrebbe messo
due o più conduttori e allungato i tempi del parlato tra un disco e l'altro coinvolgendo sempre più il pubblico nelle dirette. L'idea è che se il pubblico partecipa si affeziona, chiediamolo al
pubblico, lui sa. Già, il pubblico sa. Ma non dovresti saperlo tu?
du iu spic inslisc?
E chiudo questo piccolo viaggio nel passato con una chicca: non ci crederai ma c'erano ancora le barriere musicali, come sugli autobus americani tra neri e bianchi e spesso la musica straniera
aveva una programmazione separata da quella italiana. Sì, perché il vecchio pubblico non amava le canzoni in una lingua straniera e con la bandiera della patria innalzata gridava "W la musica
italiana!" e così sono nate radio che promettevano solo musica italiana. Ma le canzoni straniere erano un treno impossibile da fermare con la globalizzazione in arrivo.
Gli anni '70 e '80 erano caratterizzati da un livello scolastico in discesa. A scuola si cominciavano a vedere gli effetti di un certo lassismo e seppure vigeva l'obbligo di frequenza, non è
detto che a quello corrispondesse l'attenzione necessaria ad imparare le poesie, ad apprendere la grammatica, a conoscere la storia. Già parlare italiano era difficile, figurati parlare
l'inglese!
Non c'era internet. Non potevi trovare facilmente risposte e traduzioni se non portandoti dietro un vocabolario o un amico secchione! Cosa piuttosto rara.
Non conoscevamo il significato delle canzoni che mettevamo in onda, quindi annunciare il titolo di Through the Barricades era un impresa: tru se barricad, frug te berricades, zug de
barraicad. E dire che gli Spandau facevano un ottimo spelling sul disco. Ma c'erano titoli più complessi in cui neppure ascoltando il disco si riusciva ad ottenere la pronuncia. Relax era
relacs di frenchi gos tu ollivud, che altro, ma se avessimo mai potuto comprendere il significato del testo della canzone avremmo evitato di dedicare la canzone alla mamma perché le
piaceva tanto, metteva allegria. Beh, certo, il sesso scatena le endorfine.
E allora Cindy Lauper cantava gorls gias uon to ev fan, ovvero tutte le ragazze vogliono avere un ventilatore.
Ma di sicuro qualcosa del senso di alcune canzoni arrivava dritto al cuore e non aveva bisogno di essere tradotto come ci insegnava Jeff Lynne della Elo Band quando cantava Hold on tight (to you dream), amico, tieniti stretto al tuo sogno!
E adesso... e adesso la pubblicità! State con noi!
Annamaria (venerdì, 08 marzo 2019 16:14)
Che storia fantastica! Di vita e di vite, di passione e nostalgia: un viaggio indimenticabile. Grazie per aver rivissuto quel passato recente per noi che stavamo dall’altra parte ad ascoltarvi: i mitici DJ degli anni ‘90!